domenica 29 gennaio 2017

Sui proclami elettorali


Un comizio deve essere tenuto con linguaggio semplice, ma roboante, per coinvolgere tutti e tenerli fermi in platea;
un'orazione congressuale, invece, va esposta con linguaggio appropriato e, purtroppo, non accessibile a tutti, ovvero rivolto ad un pubblico che abbia strumenti di comprensione superiori alla media.
 La differenza tra un comizio di piazza e un "comitato centrale" è tutta qui.

Tradotto: la politica contemporanea soffre dell'incapacità dei suoi esponenti nel saper coniugare il populismo moderno con il politichese d'annata, un virus che contagiava l'intero Arco costituzionale della prima Repubblica e quello parlamentare della seconda.

Il risultato, oggi, non è un vino di minor qualità – tuttavia comunque gustabile e a buon mercato – ma acqua sporca di fondo di tino.

Siamo lontani dalle sintesi, così è facile promettere, difficile è mantenere, senza mezzi e senza consenso che superi percentuali di rilievo: 25mila persone in piazza sono un'inezia alle urne su base nazionale.
Andare a votare senza legge elettorale "coerente" è un suicidio politico.

I programmi? Poi ci penseranno a come attuarli, per il momento si urla alla sovranità come su Facebook, ma senza avere la minima idea su come attuarla senza spargimenti di sangue.

I 5 Stelle – forse, ma non ne sono sicuro – lo hanno capito (solo dopo averci sbattuto il muso, però), gli altri mi sembrano lontani dal conseguire il risultato, impegnati come sono a rispolverare slogan vecchi di quarant'anni.

Chi non ha vissuto quel periodo non può capire e potrebbe cadere di nuovo nell'illusione che ha rovinato (o terminato) la vita di molti che vi hanno creduto.

Spero di sbagliarmi.


lunedì 9 gennaio 2017

Redde rationem

 
Dal 1994 strutturo modelli di lavoro sostenibili in ambito editoriale, ma ho sempre cozzato contro la burocrazia parassita di un sistema nato per dissanguare, per poi dissanguarsi e morire, nonostante fossimo usciti da un periodo – la prima repubblica – che sembrava dovesse stabilire la linea di demarcazione tra malaffare ed onestà, una parola che esisteva prima dei grillini, ma che Grillo già urlava a Craxi.

Dal 1998 al 2011 ho progettato e realizzato tecnicamente un quotidiano nazionale che ha dato lavoro a centinaia di persone nel corso degli anni; molti di questi hanno conseguito un praticantato giornalistico che ha consentito loro di spiegare le ali verso carriere in altri ambiti giornalistici o editoriali.
Persone sicuramente di valore, ma alle quali, fino a quel momento, non era stato loro concesso da nessuno di mettere in mostra le proprie capacità e preparazione.

Ringrazio anche altre firme prestigiose, che non avevano certo bisogno di "trampolini di lancio", ma alle quali, comunque, è stato concesso uno spazio di assoluta libertà di espressione e di contraddittorio, proprio per giungere a quelle sintesi politico sociali tanto agognate.

Dei 13 anni di attività il giornale ha percepito rimborsi statali (nella misura del 50% dei bilanci presentati) per soli 7 anni, per una cifra COMPLESSIVA pari a 29 centesimi di euro di esborso procapite (4 centesimi/anno): è quello che si potrebbe definire un bilancio in attivo, ovvero sostenibile per una attività di informazione e commento non condizionata e inquinata da inserzionisti.

Questo periodo, comunque, passerà alla storia come il ventennio berlusconiano, ma del cavaliere decaduto (forse), porta soltanto la fama di un uomo, un affarista spregiudicato e plurigiudicato, che ha fatto ciò che quasi ogni italiano avrebbe fatto al suo posto, se solo ne avesse avuto medesime capacità ed opportunità.

È tuttora l'uomo più invidiato d'Italia, nonostante età avanzata e malori.
La smettano i duri e puri "onesti", la smettano i "compagni" con gli armadi pieni di scheletri.

Oggi mi ritrovo a subire i diktat di raccomandati viziatelli capitanati da un guitto livoroso (probabilmente voltagabbana e sostenitore di un nuovo, osceno, minculpop, data la sua ossessione contro i giornali) che accusano quelli come me di aver favorito il sistema precedente.

Sono trentenni, ex disoccupati senza arte né parte, che da un giorno all'altro si sono trovati a "guadagnare" (?!?) 5000 euro al mese (dieci milioni di lire, signori) come membri di un partito (usiamo il nome giusto) che con il 25% dei consensi non è riuscito ad evitare il massacro del popolo italiano, almeno di quello che pagava le tasse.

E la cosa più grave è che illudono soprattutto i loro coetanei fuori dalla giostra, che li vedono passare sorridenti giro dopo giro, dopo giro, dopo giro.

Come si dice in questi casi, "ai posteri…", ma sarebbe il caso di cominciare a pensare al qui ed ora.

domenica 8 gennaio 2017

Libertà di espressione e bufale

Italia, 2017.

77° posto per libertà di stampa;
50% di analfabetismo funzionale (alcuni dicono 70%).

Ovvero una situazione nella quale è inutile scrivere,
perchè chi ti legge:

- o non capisce;
- o capisce quello che gli sembra di aver capito;
- o capisce quello che gli fa comodo capire.
- o "capisce" più di te.

E replica di conseguenza, cioè a casaccio (eufemismo).

In questo desolante quadro culturale, vi è chi sostiene la "democrazia della rete", dove ognuno può dire la propria senza un vincolo deontologico, senza una preparazione professionale, senza ritegno e senza vergogna per l'ignoranza dimostrata su varie tematiche.

Sul fronte opposto, quello dei giornalisti "accreditati", non va meglio. 
Redattori con contratti al minimo e collaboratori pagati meno dell'inserviente delle pulizie (con tutto il rispetto per chi mantiene pulite le redazioni), non consente atti di coraggio che sconfinano nell'eroismo, un giornalista non può scrivere contro il proprio giornale.
Discorso diverso per gli editorialisti di grido, che evidentemente possono permettersi di ammortizzare querele milionarie.
Perdere il lavoro oggi non è come era perderlo 30 anni fa ed oltre.
Il rimboccarsi le maniche, oggi, non consiste soltanto nel faticare, ma anche inventarsi una fatica.
Per chi lo ha sempre fatto è comunque difficile, per tutti gli altri è impossibile.
Stando così le cose, c'è anche chi auspica la chiusura definitiva dei giornali, magari quelli più piccoli, magari quelli che dicono la verità.
Auguri, ne avete bisogno.

PS: a proposito di "fake" e bufale, vi è mai capitato di parlare con 5 persone che in realtà è la stessa persona con 5 tablet a disposizione? 
Democrazia o dittatura digitale?


sabato 7 gennaio 2017

Tribunale del popolo
per i giornalisti?
Una tragica sciocchezza


La composizione del corpo giornalistico di un periodico, sia cartaceo che web, può avere decine di configurazioni che prendono forma innanzitutto dalle intenzioni dell'editore e del suo campo d'azione.

La richiesta di rimozione del contributo all'editoria dei 5 stelle è una contraddizione in termini.
Mi spiego.
Se l'editore è ricco di suo e/o gode di poderosi introiti pubblicitari – quindi può permettersi di fare a meno del contributo (NB: vendite ed abbonamenti costituiscono soltanto una parte degli incassi, che, nel caso del cartaceo, vanno a compensare le spese di stampa e distribuzione) – pubblicherà quel che vuole, ma soprattutto quel che gli conviene.


L'istituzione di un organo di controllo sul privato, pertanto, non può che essere una sciocchezza dittatoriale.
Entrando nello specifico, siamo alla verifica delle fonti.
Linea, ad esempio, con enorme sforzo di ottimizzazione delle risorse, aveva una serie di corrispondenti sul territorio, esperti in materie socioeconomiche, i quali filtravano le agenzie di stampa inviate loro dalla redazione centrale.
Ciò serviva a verificare sul campo che, quanto diramato dall'agenzia, corrispondesse a verità assoluta e che le interpretazioni date dagli altri media fossero totalmente al di sopra di interessi di parte.
 
Come ho detto più volte, se un inserzionista paga per una manchette pubblicitaria, non gradirà che si attacchi lui o la sua categoria.
Perdere l'introito pubblicitario, senza contributo statale, equivale a chiudere i battenti.

Ora si tratta di decidere se sia più corretto:

- ricevere una informazione senza padrini e padroni, ma sovvenzionata dallo Stato, che, per Costituzione (art. 21) non può intervenire sulla linea editoriale di un giornale con un esborso infimo dei cittadini;

- oppure sciropparsi l'informazione condizionata da privati, lobbies ed enti che comprino il silenzio del giornale stesso sotto minaccia di sospensione della pubblicità, con un costo per i contribuenti ben maggiore in termini di obiettività.

Ovviamente, se esageri, lo Stato ha altri mezzi per tapparti la bocca, ovvero togliendoti il contributo (che in realtà è un rimborso al 50% delle spese sostenute e/o dichiarate).

Questa è l'unica cartina al tornasole che ti fa capire che sei nel giusto.

Ed è quanto è successo a LINEA, per il quale, anche lo stesso Grillo ha auspicato la sospensione e la conseguente chiusura, ma copiando idee come reddito di cittadinanza, contrasto all'usura bancaria, sovranità economica, etc. per farne un manifesto elettorale, poi tragicamente disatteso all'appuntamento con i fatti.


lunedì 2 gennaio 2017

Sui probiviri

 
Apprezzo lo scontro di livello, detesto la tifoseria settaria o campanilistica, quando questa non è rivolta esclusivamente alla competizione sportiva.

La "cliccocrazia" a colpi di tweet (non solo quella firmata 5 stelle, ma anche quella di chi si presta a scendere in tale campo di scontro) sta snaturando il confronto politico a livelli di preoccupante bassezza e di conseguente incompetenza.

L'ossessione dell'onestà – paradossalmente – sta facendo venir meno la trasparenza, elemento ben più utile a comprendere il modus operandi di partiti e movimenti attivi sulla scena politica.

Ciò accade perché di alcuni – gli "onesti" per antonomasia autoattribuita – non si può dubitare e di tutti gli altri si dovrebbe, a prescindere dai fatti.

Tuttavia, il riordino interno come necessità e ultima istanza di una corrente è sempre prodromico dell'inizio di una infezione che porta a malattia e morte dell'organismo.

Staremo a vedere o a rivedere, ma forse non le stelle.

E me ne dispiaccio, sinceramente.